Quali ingredienti si celano nei salumi a basso contenuto di grassi?
Cibi e usanze a tavola ai tempi dell’Ottocento tutti da scoprire nella pubblicazione finalista del Premio Strega 2019
Benedetta Cibrario, Il rumore del mondo, pagg.751,Mondadori 2019. 22 Euro
Finalista Premio Strega 2019
Un bel romanzo storico, di quelli che si fanno amare ed apprezzare, collocato nella prima metà dell'Ottocento (1838-1848), che parte dall'Inghilterra per narrare le vicende del Piemonte preunitario attraverso la storia di Anne Bacon che va in sposa al conte Prospero Villon e si trasferisce da Londra a Torino. Un affresco e un intreccio di storie e di tanti personaggi che ci restituiscono il senso di un'epoca come, o forse meglio, di un saggio storico. Un grande racconto che vorrei definire dickensiano, e non sarà un caso che il volume si apre con una citazione tratta dal grande narratore inglese.
I sentimenti, le storie e i personaggi vivono in un mondo descritto con precisione nelle sue vicende storico-politiche, nel paesaggio, negli usi e nei costumi e nei tanti aspetti della vita quotidiana e di quella che si definisce nel suo complesso cultura materiale. Dopo la manifattura della seta, che collega il mondo londinese di Anne al Piemonte, attente e corrette descrizioni e commenti sono dedicati agli usi alimentari e al cibo, con la descrizione puntuale di interi menù. Il vecchio conte Casimiro, tradizionalista e conservatore convinto, diventa la coscienza critica dei comportamenti alimentari. Un sincero critico del gusto. E' l'anfitrione che contrappone la cucina del territorio a quella che fa il verso alle raffinatezze di quella francese, ben radicate dopo il periodo della dominazione napoleonica.
La descrizione di menù e comportamenti alimentari del Piemonte è di filologica correttezza e grande interesse documentale. Sembra che l'autrice, non a caso collocatasi al secondo posto nella classifica del Premio Strega 2019, abbia fatta propria la lezione e il metodo della storiografia degli Annales e si sente l'accurato lavoro di documentazione. Descrizioni di banchetti e di menù non sono certo una novità, basti pensare al Gattopardo o, più vicino a noi e ad altri livelli, ai continui riferimenti al cibo nelle storie del commissario Montalbano nei romanzi di Camilleri.
E la lista sarebbe lunga anche pensando alla letteratura internazionale. In questo romanzo l'attenzione alla cultura della tavola non è solo descrittiva, ma si accompagna alla narrazione del fluire degli avvenimenti e alle trasformazioni sociali che vengono descritte. Il vecchio conte Casimiro Villon, prima scorbutico e detestabile è via via quello che, nonostante l'età, pure restando fermo nei suoi convincimenti conservatori, quello che capisce il mutare dei tempi. In lui la passione per la cucina tradizionale piemontese si contrappone all'avanzata delle nuove ricette, alle mode che provengono dalla Francia. La sua passione, fortemente contemporanea, è per quella cucina che esalta i prodotti della sua terra con piatti che ancora oggi rappresentano la nota dominante di quel territorio.
La ricchezza e la qualità dei prodotti del territorio, emergono anche nelle riflessioni di Eliza, la cameriera personale di Anne, quando assaggia per la prima volta una pesca. "A parte le aringhe, che avevano lo stesso identico sapore di quelle del mercato di Billgsgate, al Mandrone (la residenza di campagna dei Villon) era tutto diverso. Le verdure erano gustose e abbondanti e la zuppa di pane era una delle cose più buone che avesse mai assaggiato". La vera scoperta è la pesca che le dona Antonio, che diventerà suo marito. "la polpa era fresca e dolce. Un frutto del paradiso. Preziosa, delicata, profumatissima.. Altro che le mele che aveva sbucciato e affettato in Inghilterra (pag.369)
Per i lettori di questa rubrica, attenti agli aspetti enogastronomici, sarà interessante ritrovare prodotti e pietanze che oggi, resistendo al tempo, costituiscono eccellenze particolari del Piemonte come il fritto misto, la testina di vitella con il bagnetto. Come dice Casimiro a pag. 252:
"Bisognava che una campionatura della cucina piemontese di Langa e di città solleticasse il palato delle inglesi...Pesto di acciughe , peperoni di Carmagnola con la bagna caoda, cervella, fette di semolino fritto. Cos'altro aveva ordinato ? Lingua di bue in gelatina. Insalata di borlotti di Saluggia, pollastra in galantina e terrina di coniglio. Un assaggio di cappone di Morozzo ripieno di fichi e di mandorle. Per finire una crema spumante al cioccolato, pesche ripiene all'amaretto, zuppa di savoiardi. Niente cucina raffinata, non in casa sua; non aveva di queste fisime, pretendere solo fonduta di tartufo o brodo di tartaruga, lesescargò, come le chiamava Angiola, gli faceva ribrezzo fina da bambino.., soufflè e sformati non gli dicevano granché. Non osava-non in città- far arrivare in tavola la salsiccia cruda di Bra né il salame di Carrù..... Ma una portata di Castelmagno o di Raschera prima del dolce, quella sì, l'aveva sempre pretesa e con una cucchiaiata di miele di castagno per esaltarne il sapore".
Oltre alla descrizione e ai commenti sulle pietanze, l'autrice descrive anche le impressioni delle inglesi che vengono da altre abitudini alimentare.Casimiro a tavola intrattiene Anne e la sua accompagnatrice Theresa. Si sviluppa così una riflessione sui pensieri delle due inglesi davanti alle novità. Disquisendo di servizio alla francese e di servizio alla russa, si entra nel difficile aspetto del gusto e della degustazione .
" Era una frittura dorata. Di cosa ? La signora Manners si servì e tastò cautamente con la forchetta. Spandeva un profumo invitante... Il fiore di zucca era caldo, croccante. una meraviglia. E lei non ne aveva mai mangiati prima. C'erano anche spicchi di mela e altri bocconcini che non riconosceva ."pag. 254
"Vi ho fatto preparare il fritto misto alla piemontese" disse il padrone di casa. "Da noi un piatto invernale, ma è ottimo. Dolce e salato insieme. Prendete anche gli amaretti e le animelle, il polmone, il semolino. Dovete mangiarli insieme......Cervella. La parte migliore del fritto misto".Theresa esitò. Era abituata a mangiare solo le parti nobili della carne: roast beef, brasati, bistecche. Faceva eccezione solo per il pasticcio di rognone".
Infaticabile viaggiatrice che diventerà autrice di Guide al bel Paese, filosoficamente pensa che se vuole conoscere un paese non può non conoscere al sua cucina.
La polemica del burbero conte Casimiro, che nonostante la gotta e altri malanni non intende rinunciare ai piaceri della gola e delle sue pietanze preferite, si fa graffiante e ironica, non nei confronti della monotona cucina inglese, ma nei confronti delle nuove mode.
"Lo sai che hanno un cuoco francese che era degli Orléans? Fa sculture di zucchero e trionfi di ghiaccio con dentro carillon che si mettono a suonare quando si sciolgono."Ancora sale la polemica quando (pag. 375) il maggiordomo gli propone un menu francofono e francofilo e, di fronte alle sue rimostranze, risponde che è lo stesso di un recente banchetto dei conti Cavour al castello di Santena. Le portate sono, per riportarne alcune, Soupe a la tortue, Pieds de cochon à la jardinièere, Petites pâtes à la russe, Truite matelotte normande, Riz au Karcille. Casimiro conclude la disputa con un lapidario e significativo "stanno cambiando molte cose se perfino gente sobria come i Cavour serve fragole settembre." Ma i i vini, in fondo al cartoncino celeste del Menu sono rigorosamente piemontesi. Dolcetto di Dogliani, Erbaluce di Caluso, Moscato di Asti.
L'infaticabile Theresa, in una sua lettera ad Anne dell'agosto del 1840, ci parla del mercante di vini inglese Pigott che coltiva l'ambizioso progetto di abbandonare i vignaioli francesi al loro sussiego e specializzarsi nei vini locali della penisola. Pigott ne riconosce le potenzialità anche se, così come sono, li giudica "pessimi". Dovranno passare decenni e decenni perché i produttori italiani e piemontesi in particolare diventino capaci di tradurre le potenzialità in grandi certezze e grandi prodotti internazionali
Insomma, caro lettore, il piacere del testo si lega alle reminiscenze e al piacere del gusto. A me che scrivo resta il rimpianto di non aver spazio per riportare i tanti commenti ai Caffè di Torino e alla sua cioccolata che conobbe in questa città e nelle sue imprese dolciarie di eccellenza la più importante affermazione europea.
Scritto da Sergio Bonetti
Ha insegnato all'Università, si è occupato di piccole imprese e, negli ultimi anni, soprattutto di quelle del settore enogastronomico, per le quali ha promosso eventi legati alla cultura del territorio. Le sue grandi passioni sono i libri, il cibo, il vino…e le serie tv.
Ama viaggiare e per lui ogni tappa diventa occasione per visitare i mercati alimentari e scoprire nuovi prodotti, tecniche e tradizioni.
E’ inoltre appassionato di ricerca e dello studio di testi in ambito culinario, per contrastarne la spettacolarizzazione e i luoghi comuni.

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