Nihil videtur 2° parte

Continua l’interessante approfondimento del dipinto “Natura morta con aringa” di Peter Claesz

Nihil videtur 2° parte

L’artista assegna alla birra un ruolo preminente. La bevanda era una presenza non certo rara nei dipinti fiamminghi dell’epoca ma solitamente vi era citata come elemento di contorno e non come oggetto principale della raffigurazione, come in questo caso. Lo stesso Pieter Claesz in una precedente versione di Natura morta con aringhe, risalente al 1627, pare attenersi alla tradizione. 

La preminenza così assegnata alla birra nel dipinto in esame apre ad un significato più profondo che va  al di là dell’appetibilità dei prodotti commestibili raffigurati. Notevoli valenze simboliche caratterizzano la messa in posa degli oggetti. Il rimando alla storia del significato simbolico della birra per i popoli del nord è, infatti, pari a quello del vino per i popoli mediterranei. 

L’intera composizione allude all’Eucarestia. Ampiamente nota è la simbologia cristologica del pesce, la cui denominazione in lingua greca, Ychthus, è assunta sin dal primo cristianesimo come acronimo della frase Yesus Christos Theou Uios Soter, ovvero Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. L’aringa, cruda o forse marinata nell’aceto, è tagliata in sette parti

Il numero sette è considerato in tutte le culture più antiche, religiose e non, emblema della pienezza spirituale e cosmica, il numero sacro per eccellenza. Rappresenta la globalità, un ciclo dinamico e compiuto, in quanto simboleggia l’unione tra il ternario divino (il numero 3) e il quaternario terreno (il numero 4, dato dagli elementi), tra natura fisica e natura spirituale. Il ciclo settenario descrive il processo di completamento di qualsiasi fenomeno e di forzeche passano attraverso sette gradi, fasi o “note” disposte lungo una scala armonica di trasmissione.

Nella tradizione di tutte le sacre scritture, dalla quella greca a quella giudaico-cristiana, da quella islamica a quella indiana, il numero sette ricorre innumerevoli volte a rappresentare la perfezione, la compiutezza, l’equilibrio perfetto, la capacità del sistema settenario di racchiudere il tutto. Il sette possiede una forza simbolica universale.

Il piatto su cui è poggiata l’aringa sporge un poco dal tavolo, quel tanto da poter immaginare, nella tridimensionalità dello spazio pittorico così allusa, di essere chiamati a sorreggere o a prendere quel piatto con il suo contenuto, ad entrare anche noi nella scena. Partecipi e parti attive in essa, siamo invitati a sorreggere, sostenere, e, nello stesso tempo, a prendere quel nutrimento. Nell’universo tutto è vibrazione. 

Nell’accogliere consapevolmente il significato di un tale espediente compositivo, lo spettatore fa sì che la direzione della vibrazione rappresentata dalla natura ascendente del significato cristologico del pesce non solo non si perda ma prosegua nell’estensione che il riconoscimento di ogni singolo individuo è in grado di consentire, trasformando quella simbologia in qualcosa di organicoe di universale, al di là di un tempo e di uno spazio finiti. 

La birra e il pane, rispettivamente alla sinistra e alla destra dell’aringa, non fanno altro che rinforzare questi significati, ponendo davanti al nostro sguardo due alimenti che l’umanitàimparò contemporaneamente a fare con gli stessi lieviti. Ambedue, infatti, derivano dalla stessa sostanza di base fermentata, il frumento, sebbene, a prodotto finito, si presentino in due stati differenti: liquida la birra, solido il pane. Nel dipinto, il pane evoca ancora l’offerta eucaristica, la sostanza nutritiva essenziale. La birra, con il suo corredo simbolico, ampiamente ricordato nelle tradizioni celtiche, simboleggia, per le sue proprietà inebrianti, il mezzo per entrare in contatto con il mondo soprannaturale e divino, anche in virtù della presenza dell’orzo, accanto all’avena e al frumento, nella sua lavorazione. 

Basti ricordare che nell’antica Grecia la birra era bevanda sacra a Demetra, dea delle messi, e utilizzata in sostituzione del vino in particolari occasioni in cui il suo tasso alcolico poteva essere più tollerato rispetto a quello del vino. In Egitto, labevanda fermentata si chiamava shekare le era attribuito il particolare significato simbolico: inserita nel corredo funerario, aiutava il defunto nel suo viaggio nell’Aldilà.

In Mesopotamia la birra era sacra ad Isthar, la Signora della Luce Risplendente, dea dell’amore e della fertilità. Dalla Roma augustea al Medioevo, la birra è ricordata per le sue proprietà terapeutiche. Ildegarda Von Bingen la raccomandava contro la paralisi, la lebbra, la pazzia e il delirio. Era altresì usata contro i vermi, i calcoli, la febbre, le malattie renali, la depressione e l’incontinenza dei bambini. E potremmo andare avanti ancora, ricordando a quante tradizioni popolari si associano proprietà e significati simbolici della birra.

Allusione alla fertilità, alla salute e all’abbondanza, dunque, ma anche alla trasmutazione degli stati, dal più basso al più elevato (ci piace qui ricordare che nella saga di Gilgamesch i Sumeri descrivono come la scimmia Enkidu si trasformi in uomo dopo essersi saziata di pane e aver bevuto sette boccali colmi di birra), la schiumosa bevanda era considerata sacra anche nella tradizione celtica. Simbolo di comunanza con gli dei veniva utilizzata nelle cerimonie evocative e nei riti. 

In Natura morta con aringadel 1636 Pieter Claesz la birra acquista un significato più alto, stretta com’è entro la triangolazione compositiva formata dal coltello, dal panno nero e dal piatto con i grani di pepe nero. Allusione alla morte il panno nero, alla trasmutazione degli stati la birra e all’aiuto per l’assorbimento dei nutrienti le bacche di pepe nero. Non va dimenticato il guscio rotto della nocciola, privo del suo frutto e posto poco avanti l’ombra proiettata dal pane, quale simbolo noto sin dal Rinascimento della saggezza del Cristo.

Con grande semplicità, con un solo bicchiere di birra, un pane, un panno, un coltello, un’aringa e un guscio spezzato di nocciola, Pieter Claesz conferisce agli oggetti potenza ed equilibrio, permettendo loro di travalicare il mondo contingente e reale del “pane quotidiano”, offrendo a chiunque si porti davanti al suo dipinto le chiavi per entrare nel mondo dei valori universali, ideali ed eterni. Basta, dunque, riconoscerle ed utilizzarle.

 

Note bibliografiche 

  • M. Brunner-Bulst, Pieter Claesz – der Hauptmeister des Haarlemer Stillebens im 17. Jahrhundert: kritischer Oeuvrekatalog, Lingen, 2004.
  • L. Bortolotti, La natura morta. Storia Artisti Opere, Giunti 2003
  • S. Zuffi (a cura di), La natura morta, Electa 1999
  • E. Gombrich, Dizionario della Pittura e dei Pittori, Einaudi Editore, 1997
  • Baschenis e la natura morta in Europa, catalogo della mostra - Roma Accademia Valentino, 15 marzo - 8 giugno 1997
  • La natura morta al tempo di Caravaggio, catalogo della mostra, Roma Musei Capitolini, 15 dicembre 1995 - 14 aprile 1996
  • A.Veca, Natura morta, Art & Dossier 1990; N. SCHNEIDER, Nature morte, Taschen 1991
  • P. Biesboer e Juan J. Luna, La pintura holandesa del Siglo de Oro. Frans Hals y la escuela de Haarlem, Madrid, 1994

Laureata in Lettere moderne, con indirizzo Storico Artistico, alla Sapienza di Roma, sua città natale, in Scienze Psicologiche Applicate e in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico, insegna Storia dell’Arte negli istituti di istruzione secondaria superiore.  

Collabora da oltre un decennio con il Dipartimento di Studi Letterari, Filosofici e di Storia dell'Arte dell’Università degli Studi Roma Due di Tor Vergata nell’ambito della formazione degli insegnanti e da alcuni anni come docente a contratto presso la cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea dello stesso Ateneo per l’insegnamento di Metodologie e Tecnologie didattiche della Storia dell’Arte. Interessata da sempre all’indagine iconografica e allo studio dei simboli nelle diverse culture, nonché allo studio della relazione tra arte e pubblicità, ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche.

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